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Il quadro che prende vita: l’opera di Van Gogh in uno dei film più crudi di sempre

Pittura o cinema? Non c’è bisogno di scegliere, in molti casi sono due arti che camminano assieme di pari passo!

Artista e regista sono due protagonisti che spesso si incontrano nell’arte cinematografica. Questo è il caso di Stanley Kubrick e Vincent Van Gogh. In particolare, parliamo di uno dei più grandi film del registra statunitense che ha preso ispirazione da una delle opere più cupe e malinconiche dell’artista olandese.

Il quadro prende vita
Stanley Kubrick, 1974, Copyright by Warner Bros. Inc e Autoritratto, The Art Institute of Chicago (labiennale.it)

Tra film di di guerra, drammi, noir, fantascienza e horror psicologici, Stanley Kubrick è uno dei maggiori padri della storia del cinema contemporaneo. Nel suo Arancia Meccanica si nasconde l’opera misteriosa di Van Gogh.

Bande, delinquenti e detenuti: i prigionieri nel cinema e nell’arte

Arancia meccanica è un film del 1971 che Kubrick ha tratto dal romanzo dello scrittore britannico Anthony Burgess. Si tratta di una storia sociale, una realtà piena di violenza. Candidato a diversi Oscar, destò molto scalpore tra il pubblico dividendolo in due. Da una parte c’era chi lo riteneva un capolavoro del genere, dall’altra c’era chi lo accusava di troppa violenza.

Tra furti e abusi cari, il film, così come un romanzo, segue le vicende della banda criminale protagonista. Una delle scene è particolarmente impressa nell’immaginario collettivo e fa richiamo alla Ronda dei carcerati di Vincent Van Gogh.

Delinquenti e carcerati
La ronda dei carcerati, Vincent van Gogh, 1890, Museo Puškin di Mosca e scena del film Arancia meccanica (labiennale.it)

La scena in questione riguarda Alex, il capobanda, ed il tentativo di riabilitazione. In carcere, si vedono i prigionieri che camminano in tondo in uno spazio molto angusto. La scena riprende pari pari la visione di Van Gogh. La sua opera venne realizzata mentre era internato al Saint-Rémy-de-Provence nel 1890.

Il pittore olandese si lasciò ispirare sia dai suoi sentimenti nel periodo di isolamento sia da un’incisione in bianco e nero dell’incisore francese Gustave Doré. La scena si ambienta in uno spazio stretto e angusto dove i carcerati possono avere la cosiddetta ora d’aria. In realtà di aria non se ne respira per nulla nella scena che appare asfissiante e claustrofobica.

C’è un senso di chiusura che aleggia e che viene sottolineato anche dal movimento perpetuo dei carcerati che girano in tondo. In particolare, uno di loro, quello centrale, guarda dritto allo spettatore in maniera disperata quasi come a chiedere aiuto. Sembra distinguersi dagli altri che, invece, sono una massa informe ed è forse l’unico che si rende conto della condizione in cui si trova.

Ritratto con i capelli rossi, molto probabilmente è il riflesso dello stesso Van Gogh che si sentiva come in quello spazio angusto, isolato, incompreso e disadattato. Un alito di libertà si racchiude solamente nelle due piccole farfalle in alto che sono fragili ma che, a differenza degli esseri umani, possono ricercare la felicità al di fuori del carcere, fisico o mentale che sia.

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